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Chiesa e politica: quando la corruzione le unisce

Serve una Chiesa che denunci la politica collusa con il malaffare e che non si faccia comprare da essa. Una riflessione sul rapporto chiesa-politica partendo dai personaggi guareschiani.


La Chiesa è chiamata a compromettersi. Si dice che la Chiesa non debba mettersi nella politica, la chiesa deve mettersi nella politica alta. [Papa Francesco]

DIO NELLA CITTÀ – NUMERO 4, lunedì 10 ottobre 2016 – Un rapporto da sempre frutto di tensioni e polemiche, scopre la sua ricchezza nella diversità dei compiti da assolvere per servire il bene comune.

Quando pensiamo alla relazione di cui tenterò di scrivere viene forse in mente qualche scena bizzarra della famosa saga di don Camillo e Peppone del grande scrittore italiano Giovannino Guareschi.

Ma a parte la curiosa alternanza tra liti e riappacificazioni tipiche dei personaggi del Guareschi, la politica con la quale spesso oggi la Chiesa, e tutta la società civile, si trovano a confrontarsi è ormai aliena da orientamenti politici e feconde tensioni.

È una politica che è crollata in un vortice di non senso e corruzione che ormai ha cancellato il valore autentico di questa passione civile. La politica non sembra più essere il servizio che si compie a favore della polis, della città ma l’attività di un gruppo esiguo che persegue fini propri o alieni dalla collettività.

Spesso tutto ciò che ha a che fare con il mondo della polis viene automaticamente etichettato come corrotto, dimenticando la natura sociale insita nella missione politica. Facilmente dunque la relazione che lega la politica alla Chiesa rischia di subire fratture o deleteri compromessi: ciò accade quando la politica tenta di fagocitare la Chiesa nei suoi affari illeciti o di strumentalizzarla per allargare il circolo del proprio potere.

Ma la Chiesa non è una costola del potere politico e nemmeno la passerella dove poter tenere comizi e conquistarsi un discreto bacino di voti. D’altro canto la Chiesa non deve lasciarsi incantare dal politico di turno e nemmeno dalle garanzie (terrene e pertanto anche vantaggiose per la sua missione, ndr) che possono sedurla.

È meglio per la Chiesa una condizione di precarietà nella legalità che godere di benefici sporchi rinunciando però al Vangelo stesso. Questo principio lungi da cadere nell’astrattismo costituisce la garanzia di autenticità di una Chiesa libera che intende avviare processi di liberazione e non di sudditanza. Se la Chiesa infatti smarrisce la sua missione profetica di denuncia delle ingiustizie e amore verso i poveri e gli esclusi, si lascia comprare e manipolare dalla politica.

Ecco perché è fondamentale all’interno delle comunità cristiane una continua autocritica per verificare il livello di adesione al Vangelo evitando di scadere in un cristianesimo di facciata che ci rende religiosi ma non credibili, assidui frequentatori di santuari ma non uomini e donne di carità.

I cristiani corrotti sono i primi ad andare d’accordo con una certa politica che tende a possedere, occupare spazi e usurpare. Nelle rispettive autonomie che competono sia alla politica che alla comunità ecclesiale, un’autentica relazione tra le due si fonda sul servizio alla comunità, sulla ricerca del bene comune e la lotta contro le ingiustizie e l’oppressione dei poveri. La fede infatti della comunità ecclesiale deve declinarsi necessariamente in opere concrete di carità e solidarietà.

Ma la carità senza la giustizia non basta: occorre far comprendere che la missione di liberazione della Chiesa implica la denuncia sociale contro le ingiustizie e talora anche contro la politica collusa con il malaffare.


About Roberto Oliva

Laureato in Beni culturali presso l’Università della Calabria, studente di teologia presso la PFTIM-Catanzaro. Cura un blog su papaboys.org e collabora con Korazym.org e Il Sismografo. Per Infopinione redige la rubrica Dio nella città.

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