Dall’alto Tirreno sfida in musica alla globalizzazione

di ANDREA POLIZZO
SANTA MARIA DEL CEDRO ” Il recupero delle proprie radici è forse la pi๠grande sfida che l’uomo d’oggi ha lanciato al post-modernismo. In tale direzione gli sforzi si sono moltiplicati talmente tanto che il recupero delle tradizioni inizia quasi ad essere ricompreso tra i dettami del post-modernismo stesso. Forse anche in una revisione messa in atto nel mentre si attende il varo ufficiale di un nuovo ‘post-qualcosa’.
Sull’alto Tirreno cosentino a raccogliere questa sfida partecipa l’opera dell’ensemble denominato i Cameristi di Laos. Si tratta di un orchestra composta da ventidue giovani elementi di cui è presidente Mauro Limongi e direttore il maestro Robert Hix. Il progetto si avvale delle performance del tenore Gennaro Guerra e della soprano Antonella Biondo, su musiche di Salvatore Sangiovanni. I cameristi di Laos unificano la memoria universale e globale con la memoria delle tradizioni particolari o, se si vuole, delle ‘piccole patrie’.
Dopo le apprezzate esibizioni al festival Leoncavallo di Montalto e, nel corso di quest’estate, nel borgo di Cirella i Cameristi si sono esibiti a Santa Maria nel corso della kermesse bandistica predisposta per i festeggiamenti di San Michele. In questa occasione hanno eseguito “I canzuni i’ Malarrazza†ad opera di Franco Galiano, noto scrittore calabrese e presidente dell’Accademia del cedro.
“Malarrazzaâ€, spiega l’autore dei testi, è il soprannome di un uomo generoso ma ribelle, legato alla nostra cultura. In controtendenza nella comunità . La comunità di Malarrazza è quella della società contadina d’un tempo andato. A misura d’uomo, non idilliaca certo, ma priva dei problemi delle società attuali. “I canzuni†sono composte ed eseguite nel dialetto della Riviera dei Cedri. Il dialetto usato da Galiano è arcaico, fortemente connotativo per divenire lingua della poesia dell’interiorità e della socialità perduta. Una lingua lontana dal politichese, dalla cifra burocratica polemica e a volte deformante. Assolutamente non omologata al tecnicismo ed al linguaggio arido e tecnico dei media. Un linguaggio fortemente creativo che reca con sé tutte le caratteristiche del sogno, dell’utopia, della scommessa e della speranza di unire piccole e grandi patrie.
“Non si tratta ” spiega Franco Galiano ” di un mero esercizio letterario evasivo ma di un vero e proprio impegno esistenziale. Nel suo intento un tentativo di risposta alla globalizzazione: “Vedo la globalizzazione in senso positivo ” spiega Galiano “. A mio avviso, essa spinge dall’omogeneo all’eterogeneo. Cioè alla rivalutazione del locale. La sfida consiste nel non essere omologati ed è il globale stesso a fornire la possibilità di essere diverso. Il globale si arricchisce proprio mediante le diversità , altrimenti diventa un contenitore vuoto, astratto e totalitario. In quest’ottica, il recupero delle radici costituisce una fresca novità “se inteso ” avverte Galiano ” come  recupero etico e simbolico del passato e dei suoi simboli. Una sorta di sguardo al futuro con un cuore antico.
Nei temi portanti de “I canzuni i Malarrazza†ritroviamo gli strumenti indicati per portare la sfida al cuore della globalizzazione. Esse si ispirano, rappresentandolo, al mondo rurale ed artigiano. Un modo di essere oramai spinto al tramonto dai modelli di vita standardizzati e consumistici della società postmoderna. “Quest’ultima ” commenta Franco Galiano ” è in forte crisi di valori in quanto la tecnologia, pur aiutando a vivere, rende l’uomo e la società estranei alla vera ed utile ricerca interiore che è tutt’uno con l’ideale della conoscenza. Per cui la ricerca antropologica ed artistica delle composizioni cerca di dare una risposta all’inquietudine del nostro tempo. Si lega alla dialettica e mediante simboli e suggestioni prova a rendere passato il presente e presente il passato. Occorre pertanto una palingenesi che guardi alla piccola patria, o paese nativo, come ad un porto di salvezza, ad un punto di riferimento per non smarrirsi e per resistere al nichilismo e alla crisi del “cupio dissolvi.
L’autore suggerisce inoltre il recupero dell’identità perduta rivisitando e ripercorrendo i sentieri del Mediterraneo “e dei simboli pi๠ricorrenti ” spiega Galiano ” come quello del cedro che unisce pi๠culture. Tra esse, due molto importanti come quella cristiana e quella ebraica ma senza accantonare la volontà di dialogo con le altre culture del Mediterraneo, soprattutto quella islamica. Inoltre vorrei indicare una ulteriore via di riscatto nella passione per il sud che è un teatro vivace di folklore e di tradizioni fascinose. Se si vuole si possono trasformare i ritardi, il disordine a volte vitale, il primitivismo torbido, proprio dei Bruzii, in immagini di solarità .
