TORTORA – Carpe diem! Dal tempo in cui Orazio ha pronunciato questa frase, di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima e sicuramente ne passerà ancora tanta.
Certo, bisogna però capire quale approccio alla vita si media in tale espressione. Vuol forse dire: vivi e non pensare a nient’altro che a godere dell’attimo presente, senza prospettiva né memoria di quello che è stato.
Oppure: la vita è un attimo, per cui non dare troppo peso a quello che fai, non restare nulla.
O, ancora, vuol significare, al contrario: ti devi ancorare fortemente a quello che sei e hai oggi, senza osare troppo, altrimenti perdi pure quello che hai conquistato.
Non so se queste interpretazioni sono tutte vere oppure tutte false, o peggio ancora convivono insieme. Non saprei dire in modo assoluto quale interpretazione è giusta. Posso solo affermare che dietro questo atteggiamento esistenziale si nascondono grandi tranelli prima tra tutti, appunto, la perdita della memoria.
Oggi più che mai la vita è considerata sempre più come un bene da consumare e non un’occasione, ragion per cui le generazioni che si susseguono cercano di arrangiarsi alla buona per raccattare quelle parvenze di felicità che poi lasciano l’amaro in bocca, senza andare molto lontano nel bene.
C’è una vera e propria forma di rifiuto di tutto ciò che sa di passato, di storia, di memoria. Questa chiusura di fondo è davvero una grande perdita. Senza memoria non c’è identità, non esiste speranza. Ve lo immaginate se ogni uomo dovesse partire da zero e rifare il percorso che l’umanità ha compiuto dalla comparsa del primo uomo ad oggi? Che tragedia!!
Non avrebbe senso nulla, tutto sarebbe inutile e l’esistenza e i rapporti sarebbero sempre conflittuali ed inconsistenti.
Sta di fatto, però, che oggi si cammina nell’ottica del “chiodo scaccia chiodo”. Tutto vale qui e adesso, e l’incertezza del futuro non la si assume per lasciare il segno, ma tutto si vive solo e soltanto per l’attimo che si vive senza tensione ulteriore. Questo non fa crescere la vita, ma la distrugge.
Senza memoria tutto è vuoto, incertezza. Nascosto nel cuore di ciascuno di noi c’è però il desiderio di non essere mai dimenticati, di restare per sempre. Il ladrone morente in croce accanto a Gesù dice: “Ricordati di me” (Lc 23, 42).
La memoria è fondamentale per vivere. Dice la nostra origine, fa sì che non dimentichiamo da dove siamo partiti per saper apprezzare tutto il bene ricevuto, per imparare a nostra volta a donare.
Far memoria è anche pensare al male che abbiamo potuto compiere per avere la giusta comprensione di chi vive le nostre stesse esperienze negative e così non giudicare, ma provare compassione, non pietà, ma “patire-con”, nel senso di portare il peso di chi soffre come abbiamo sperimentato anche sulla nostra pelle. Far memoria consente di portare nel cuore il ricordo vivo di chi non c’è più e così consentire a chi è passato a miglior vita, di vivere nelle nostre vite.
In ultimo, non per ordine d’importanza, c’è il ricordo del bene ricevuto. Il far mente locale dell’accortezza che altri hanno avuto nei nostri confronti, apre il nostro cuore al senso di gratitudine e non è cosa di poco conto.
Guai allora a perdere la memoria. Chi lo fa, come afferma il noto psichiatra Vaillant, rischia di diventare un grande bugiardo, pensando di bastare a sé stesso, di non aver mai fallito nella vita, di essersi costruito da solo.
Teniamo fisso lo sguardo sulla nostra storia personale, su chi siamo stati e su cosa siamo adesso, su chi ci ha fatto del bene e anche su chi ci ha fatto del male, per imparare anche da esso nella certezza che, per essere qualcuno, bisogna restare ancorati alla storia, facendo di essa non semplicemente la somma di milioni o miliardi di attimi vissuti ma un canto di ringraziamento per la memoria di ogni gesto fatto o ricevuto.
Sapendo che con noi, nel mondo, resterà sempre il ricordo di qualcuno che mai si è affacciato su questa terra e mai più ritornerà, resterà solo la memoria.
Vi benedico
Vostro don Fiorino