TORTORA – Un fondo di investimento con sede a Dubai, negli Emirati arabi uniti, sarebbe interessato ad investire sull’Alto Tirreno cosentino per la realizzazione di un approdo turistico in mare.
L’indiscrezione filtra dagli ambienti dell’imprenditoria locale che fungerebbe da tramite con il gruppo internazionale di investitori.
A quanto si apprende, i contatti sarebbero già avviati da tempo grazie alla conoscenza di un manager italiano del fondo d’investimento e – sempre secondo indiscrezioni – la società avrebbe preso visione dell’area di Castrocucco di Maratea e della foce del fiume Noce, a Tortora, esprimendo apprezzamento per il paesaggio e per l’opportunità di investimento.
Al tutto sarebbe anche seguìto un incontro informale con l’amministrazione comunale di Tortora, in municipio.
La notizia è filtrata da alcuni giorni anche attraverso la rete e su facebook se ne è iniziato a discutere. Anzi, sarebbe meglio dire che la discussione è ripartita. Quello della realizzazione di un porto nell’area al confine tra Calabria e Basilicata, infatti, è un tema ultra decennale, molto dibattuto in passato tra i sostenitori a vario titolo dell’opera come volano di sviluppo per l’area e gli oppositori della stessa per motivi ecologisti e ambientali.
L’avvio della progettazione risale a un periodo tra gli Anni ’70 e gli Anni ’80. Il succedersi delle amministrazioni comunali in questo arco di tempo, fino ad oggi, ha fatto si che l’opera venisse ciclicamente riproposta per poi essere puntualmente riposta nei cassetti delle scrivanie comunali.
L’ultimo tentativo risale al 2009 quando la Giunta Silvestri ottenne dagli enti preposti l’approvazione in merito a un progetto preliminare del porto turistico di Tortora al quale l’attuale governo cittadino non ha inteso conferire continuità.
Ovviamente, l’ostacolo principale, che appare insormontabile in tempo di crisi economica, è costituito dalle somme di denaro necessarie anche solo a rimettere in moto la progettazione.
Ma non sono da trascurare anche altri fattori problematici. Tra questi, i rischi ambientali e di infiltrazioni della criminalità organizzata. Spesso, inoltre, queste opere restano paralizzate tanto in corso d’opera, come è ad esempio accaduto a Diamante, tanto nella fase progettuale come mostra l’esempio del porto di Paola.