PAOLA – Carlo Lomonaco deve essere assolto da tutti i capi di imputazione perché i reati contestati non sussistono e comunque per non averli commessi.
Questa la formula assolutoria proposta oggi in aula nel corso del processo Marlane a favore di Carlo Lomonaco per il quale i PM hanno chiesto una pena di 10 anni, la più pesante tra i 13 imputati.
L’ex sindaco di Praia a Mare è accusato di tutti i reati contestati dalla pubblica accusa: omicidio colposo, lesioni, rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro che avrebbe cagionato tumori a 107 operai. E ancora, disastro ambientale e discarica abusiva di rifiuti.
L’arringa difensiva di D’Ascola ha poggiato su un concetto. Posto che le difese hanno provato con testimonianze e documenti che nella fabbrica di Praia a Mare del gruppo Marzotto esistevano i presidi di sicurezza per i lavoratori imposti dalle leggi del tempo, non è stato provato dall’accusa che le cautele, se adottate, avrebbero evitato malattie tumorali. Nel 1997 – ha ricordato D’Ascola – gli impianti di areazione presenti in fabbrica vengono aggiornati, ma i tumori continuano a verificarsi.
Patrizia Morello – invece – ha puntato l’attenzione su un’altro aspetto. Lomonaco, nel periodo lavorativo in fabbrica è stato prevalentemente responsabile del reparto tintoria. Non spettava a lui il potere di disporre l’acquisto della tecnologia atta a cautelare il lavoro dei dipendenti. C’erano livelli intermedi di comando ai quali correva quest’obbligo.
“Carlo Lomonaco – ha aggiunto D’Ascola – non è il titolare dell’obbligo giuridico. E stupisce a questo punto – ha aggiunto – che i tanti altri caporeparto non siano nemmeno stati indagati. Nessuno degli operai ammalatisi ha lavorato in tintoria. E sarebbe illogico pensare che Lomonaco omettesse misure di sicurezza esponendo se stesso a rischio, visto che lavorava a stretto contatto con gli operai”.
L’ex sindaco di Praia a Mare, in Marlane non è stato solo responsabile di reparto dal 1973 al 1984.
Dal 1978 al 1980 è stato anche responsabile del depuratore e dell’intero stabilimento per poco più di un anno a partire dal 2002. Cariche ritenute sensibili dall’accusa per imputargli i reati ambientali.
Secondo la difesa Lomonaco, l’accusa non ha tenuto conto che i riferimenti normativi succedutesi negli anni non profilavano l’interramento dei fanghi da depurazione come reato. Si sarebbe invece affidata alle testimonianze di ex operai, Cicero su tutti, risultati inattendibili alla prova del contro esame in aula.
Per il periodo tra il 2002 e il 2003, quando Lomonaco è stato responsabile della Marlane, sono state depositate le necessarie prove – ha detto l’avvocato Morello – che i fanghi venivano regolarmente smaltiti.
Nel corso dell’udienza si sono registrate anche le conclusioni difensive dei legali di Attilio Rausse che da responsabile di stabilimento ha sostituito proprio Lomonaco accompagnando la storica fabbrica praiese alla chiusura. Anche per lui gli avvocati Francesco Paolo Sisto e Angelo Loizzi hanno chiesto piena assoluzione da tutti i capi di imputazione.
Al termine dell’udienza, il presidente della corte Domenico Introcaso ha rinviato alla prossima udienza per la camera di consiglio. Annullata quella di domani, sabato 6 dicembre, repliche delle parti e lettura del dispositivo della sentenza di primo grado avverranno il 19 dicembre.