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L’infermiere debolmente positivo “prigioniero” in Lombardia

La storia del 24enne marchigiano Giovanni ha dell’assurdo. Nursing-up la rilancia: “Aiuto a lui e agli eroi da corsia della lotta al Covid”.

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ROMA – Giovanni Formiconi, 24 anni, è un infermiere “prigioniero” della sua condizione di debolmente positivo al Covid-19.

Nel pieno dell’emergenza ha risposto presente alla chiamata e si è recato in Lombardia per prestare servizio alle centinaia di contagiati che si sono registrati in quella regione.

Svolgendo il suo servizio è risultato a sua volta positivo al Covid-19 e ora non può ritornare a casa sua nelle Marche, perché la Regione lo rifiuta in quanto contagiato.

E non è finita. Giovanni è partito da infermiere precario e lo è tutt’ora. Solo che ora, sono due mesi che non lavora e non percepisce stipendio. Ha quindi forti problemi a rimanere in Lombardia.

Questa storia è stata lanciata di recente dal Corriere della Sera e viene ripresa da Nursing-up, sindacato degli infermieri italiani.

Non è un caso unico, ma è esemplare”, dice il segretario Antonio De Palma. “Chiediamo allo Stato di intervenire per risolvere dignitosamente, e caso per caso, le vicende di quei colleghi che portano ancora addosso i segni della battaglia. Vanno tutelati non trattati come appestati. Hanno combattuto per noi tutti”.

Giovanni, l’infermiere “debolmente positivo”

Bene, innanzitutto chiarire cosa sia un “debolmente positivo“, condizione nella quale si trova il giovane infermiere marchigiano.

“Un debolmente positivo – spiega De Palma – è un soggetto che continua a portare nel suo sangue tracce del virus, che tampone dopo tampone non vuole abbandonarlo.

Un debolmente positivo però, non è per forza di cose un ‘caso contagioso’.

Una recente ricerca dell’ospedale San Matteo di Pavia dimostra come sia sufficiente un esame di laboratorio supplementare per mettere in coltura il materiale proveniente dal tampone di questi soggetti e vedere se si replica e se ha reale capacità infettiva”.

Quindi, intanto che si trova una soluzione per questo caso, e per quelli simili, il sindacato spinge affinché ci si accerti “se Giovanni è ancora realmente contagioso.

E se lo fosse davvero, venga sostenuto finché non guarisce del tutto. ha combattuto per la salute degli italiani come tanti di noi, non si merita di essere trattato come un appestato.

Si tuteli la sua figura professionale, lo si collochi in una situazione dignitosa finché questa situazione perdura. E se si dovesse accertare che è idoneo al lavoro, non lo si tenga ancora in isolamento.

Mi domando dove sono i responsabili del ministero, Speranza e Sileri, di fronte a questi casi: è qui che abbiamo bisogno di loro”, ha concluso De Palma.


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