Solo uno dei sintomi del sistema sanitario locale “malato”. In 10 mesi non è stata potenziata la dotazione tecnica e di personale medico.
Anche oltre la settimana di tempo per conoscere l’esito di un tampone effettuato presso le strutture sanitarie preposte della provincia di Cosenza.
Il sistema di monitoraggio dell’emergenza Coronavirus da parte dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza è in affanno.
La struttura non regge il peso dei molti contagi che nel corso della seconda ondata si sono verificati nel Cosentino, con numeri di molto superiori alla prima, come avevamo riportato qui.
La stessa Asp non ne fa mistero e da ieri ha comunicato che smetterà di fornire i dati comune per comune della provincia “a causa di tempi di elaborazione non più compatibili con quelli di pubblicazione“.
Si passa a un report settimanale sull’andamento dell’epidemia e sulla distribuzione dei casi nel territorio.
Ma andiamo più nello specifico della questione. Con la tecnologia in dotazione all’azienda sanitaria – ci dicono fonti attendibili – dovrebbero volerci dai 3 ai 5 giorni per effettuare un tampone, analizzarlo e comunicare l’esito.
Tempi comunque lunghi se si pensa che in un laboratorio privato del territorio si impiegano circa 2 ore per conoscere l’esito di un tampone rino-faringeo al costo di poco più di 60 euro.
Tempi quasi biblici se inoltre si tiene conto che con le difficoltà attuali si è passati da 3-5 giorni a oltre una settimana, come ci ha segnalato qualcuno in redazione.
E capita anche che in attesa del responso si continui a fare una vita normale, per quel che questo aggettivo possa significare in Covid era. Dunque un soggetto eventualmente positivo e contagioso può potenzialmente provocare altri casi.
Tornando ai tempi “dilatati” pesa anche il fatto che in provincia di Cosenza ci si appoggia su un solo laboratorio di analisi dei tamponi molecolari che è in grado di processarne circa 400 al giorno.
Spesso, quelli in eccedenza vengono spediti a Catanzaro, in un altro laboratorio che ha una capacità di smaltimento superiore, fino a circa 6 volte tanto rispetto a quello cosentino.
In questo caso è facile immaginare come si aggiunga altro tempo all’ottenimento del responso finale.
E, ovviamente, non è l’unico problema del sistema sanitario calabrese che – come viene segnalato da più parti – non è stato adeguatamente potenziato in questi circa 10 mesi che sono trascorsi dallo scoppio dell’emergenza nazionale.
E non è tanto una questione di posti in terapia intensiva, stando a quanto la Regione Calabria ha recentemente rappresentato al commissario Arcuri.
Dalla struttura nazionale per l’emergenza Covid sono stati inviati in Calabria 136 ventilatori. Di questi, una quarantina sono stati attivati nelle terapie intensive calabresi che da 106 posti letto iniziali sono salite a quota 152.
Ne restano dunque a disposizione ancora 90 da attivare al bisogno. Attualmente i posti letto di terapia intensiva occupati sono 10.
Più che altro, dopo circa 270 giorni da “Codogno“, sono le dotazioni strumentali per analisi dei tamponi e di personale per le Usca che non sono state implementate adeguatamente.
Le gare si fanno con tempistiche incompatibili con la situazione attuale. Colpa di una burocrazia farraginosa persino quando può agire in regime emergenziale.
Basti pensare alle assunzioni degli infermieri “uno per ogni scuola calabrese” volute dalla Santelli e delegate alle Asp. In provincia di Cosenza saranno 135.
L’atto di indirizzo della compianta governatrice era di inizio ottobre. Gli alunni sono entrati in classe due settimane dopo.
Attualmente, la procedura non è andata oltre la nomina della commissione esaminatrice con una delibera del 30 ottobre.
Solo 3 giorni prima, il 27 ottobre, è stata lanciata la manifestazione di interesse per reclutare personale per le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) della provincia.
Ricordiamo che le Usca sono costituite da medici il cui compito è la gestione domiciliare dei pazienti positivi al Covid-19 per i quali non è necessario il ricovero in ospedale.