L’alfabeto della vita, U come utopia?

TORTORA – Carissimi lettori pace e bene.


Siamo giunti alla terzultima rubrica dell’alfabeto della vita e, visto che siamo quasi a conclusione del nostro itinerario, urge fare una vera e propria sintesi che serve non tanto a ricordare quanto ci siamo detti, ma piuttosto a credere che sia possibile attuare ciò che abbiamo riflettuto insieme.

E, per questo, non poteva capitare lettera migliore della “U”.

La domanda, allora, sorge di conseguenza: è possibile oppure è solo utopia quello che abbiamo proposto a noi stessi?

Se a questa domanda non c’è possibilità di una risposta affermativa, vuol dire che io ho perso tempo nello scrivere e voi pure nel leggere. Ovviamente ho appena detto una bugia, si capisce bene, perché né io né voi, abbiamo tempo da perdere, e non perché il tempo è denaro ma perché il tempo è “salvezza”.

Il filo di Arianna che dovrebbe essere di aiuto per uscire dai nostri labirinti mentali e di cuore, che ci tiene legati, a mio modesto avviso, nell’incapacità di esprimerci e che quindi ci fa dire che tutto è utopia è la paura, più in particolare la paura di amare. Questo sentimento, al dire dei sociologi più in vista, è quello che maggiormente la creatura umana avverte. Fa da sottofondo ad ogni cosa. Non a caso molte volte si è fatto e si fa leva proprio su questo sentimento per esercitare un potere coercitivo sulla gente. Paradossalmente anche la nostra ‘ndrangheta gioca molto su questo per fare adepti, ma soprattutto per mantenere saldi gli insani equilibri di cui si serve per accrescere la propria sete di potere. “La paura di amare è un virus terribilmente contagioso e potenzialmente mortale che arriva a paralizzare il cuore e miete un numero sempre crescente di vittime. Uno dei subdoli veleni che è arrivato a colpire anche i più entusiasti e romantici è quello del consumismo. La cultura del tutto mi è dovuto, dell’usa e getta, è arrivata a contaminare in profondità anche le relazioni, amicizia, l’affettività”.1

Ebbene, tale sentimento ci abita in profondità, tanto da non farci credere che sia possibile vivere una vita piena, gioiosa, bella, buona, vera.

Ma una medicina c’è e possiamo usarla, anche perché non ha controindicazioni né effetti collaterali. Questa medicina è l’esperienza di un amore vero. Come dice l’”uomo” più in vista del 2013, almeno così dice la stampa, Papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: la nostra infinita tristezza si può guarire solo con un infinito amore. Dobbiamo riappropriarci del coraggio di vivere appieno la nostra umanità e, ora, di sgombrare il campo da tutte quelle cose che ci rendono la vita pesante, da tutti quei pensieri negativi che fanno lotta a quel fondo buono presente in ciascuno di noi.

Non si può pretendere però che questo accada magicamente, chi può decidere in prima persona siamo noi e soltanto noi, senza aspettare di essere perfetti, senza pretendere di avere la certezza di non sbagliare mai, senza attendere di piacere a tutti per decidersi su ciò che conta davvero e vale la pena spendere le proprie energie migliori. Riformulo allora la domanda: Abbiamo perso tempo nel riflettere mediante questa rubrica?

No, abbiamo semplicemente sperato in un volto nuovo del mondo, abbiamo riscritto un alfabeto nuovo della vita… Il percorso però non finisce qui, mancano due lettere, la “V” e la “Z”.

So già cosa scrivere e credo che lo farò molto presto, così da recuperare un po’ il tempo perso.

Con la stima e l’affetto di sempre

Don Fiorino Imperio

1: C. Amirante, E gioia sia, Il segreto della felicità, Edizioni Piemme, Milano, 2014, 105

 

Fiorino Imperio

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