In Calabria emigrano persino i figli dei boss di ‘ndrangheta. Regione senza riscatto se non si effettua un cambio culturale. Si cominci dai banchi di scuola a formare uomini e dignità resistenti a malapolitica e malaffare. C’è una dignità della persona di fronte alla quale nessuna mafia e nessun atteggiamento arrogante deve poter prevalere.


Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali” [Don Lorenzo Milani]

DIO NELLA CITTA’ – NUMERO 8, venerdì 10 febbraio 2017 – Sul tavolo del presidente del tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, sono giunte numerose lettere di boss ‘ndranghetisti che supplicano di salvare i loro figli facendoli fuggire dal corrotto ambiente calabrese dove inevitabilmente sono destinati a diventare anche loro futuri boss. Il trapianto culturale infatti ha sortito effetti in numerosi casi: abbandonare la Calabria e non tornare mai più, salva dalla rete mafiosa!

Per quanto lodevole e saggia la scelta possa sembrare, costituisce comunque il fragile rimedio alla questione calabrese che rimane pur sempre una terra orfana, senza più padri in grado di custodirla, amarla, formarla e renderla degna del futuro dei nostri figli, anche dei figli dei boss. Così facendo infatti si salvano le vite di alcune persone, ma non si risolve il dramma alla radice. Si aggira il problema facendolo crescere sempre di più: esistono infatti anche i giovani che non vogliono o non possono emigrare, e saranno “costretti” ad essere i successori di coloro i quali hanno sempre disprezzato.

Non poter dare a tutti la stessa possibilità di riscatto costituisce una delle ingiustizie più gravi della nostra regione. La soluzione nessuno ce l’ha in tasca però occorre certamente prendere consapevolezza che la sfida che abbiamo davanti è di natura culturale. Si può iniziare allora proprio dai banchi, così odiati eppure così vitali! I giudici e i magistrati dovrebbero inculcare questo genere di giustizia: quella che si matura tra i banchi di scuola.

Una scuola che insegna a vivere e non a conseguire un titolo. Una scuola che insegna a pensare e non a seguire la massa. Una scuola che rende più uomini e meno bestie. Una scuola che insegna i valori della solidarietà e non il valore dei voti, una scuola che insegna ad essere utili alla società e non a distruggerla!

È un appello accorato questo numero, a chi legge e a chi non lo leggerà, perché ci riappropriamo della scuola e della sua alta vocazione. Tutti: studenti, docenti, credenti, non credenti, meridionali e settentrionali. Mafiosi e non. Anche per la Chiesa la sfida si gioca su questo livello: evangelizzare persone alle quali mancano le categorie culturali necessarie per una vita degna, equivale a coloro i quali si preoccupano di parlare e pregare per i poveri, senza aiutarli stando dalla loro parte.

La scuola e la cultura che da essa dovrebbe nascere costituiscono il riscatto della Calabria. Perché un ragazzo formatosi a questa scuola non permetterà più di sentirsi preso in giro dal politico di turno o compromesso dal boss più potente. C’è una dignità della persona di fronte alla quale nessuna mafia e nessun atteggiamento arrogante deve poter prevalere: a questa dignità la scuola desidera formare i futuri cittadini di una regione che merita amore e partecipazione.

Roberto Oliva

Laureato in Beni culturali presso l’Università della Calabria, studente di teologia presso la PFTIM-Catanzaro. Cura un blog su papaboys.org e collabora con Korazym.org e Il Sismografo. Per Infopinione redige la rubrica Dio nella città.

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