SANITÀ SALUTE BENESSERE

Storia di una provetta persa: proprio come i famigerati Lea sanitari

Ho raccolto lo sfogo della mamma di una bambina con esigenze particolari. Mi ha detto che l’alternativa a questa non-sanità è l’emigrazione.


Va in una struttura sanitaria pubblica del territorio per analisi alla figlia di 3 anni, ma smarriscono la fiala del prelievo.

Detta così, potrebbe sembrare un contrattempo di poco conto. Soprattutto se paragonato ai gravi disservizi che si registrano nella sanità locale. Ancor di più nell’ultimo anno, dall’esplosione della pandemia di Covid-19.

Ma ci sono alcuni elementi di questa vicenda che la rendono più grave di come possa apparire e me li ha raccontati la diretta interessata.

Sua figlia – vera vittima – soffre purtroppo di una forma di ritardo cognitivo, ha esigenze particolari e alcune esperienze, proprio come quella del prelievo del sangue, le vive con non pochi disagi. E, volendo, si tratta sempre di una bambina di 3 anni.

A conti fatti il disagio di cui parliamo è riferito alla piccola, costretta a ripetere una procedura in parte traumatizzante per colpa dell’imperizia di qualcuno. “Imperizia”, o scarsa preparazione specifica, è un termine molto soft se applicato a questa vicenda.

L’ho scelto perché lo scopo del racconto non è la polemica. Non quanto raccogliere lo sfogo di un genitore e rilanciarlo da queste pagine. Senza molte pretese di cambiare le cose.

Il fatto in breve: la mamma che ci ha raccontato quanto successo si è recata nei giorni scorsi presso una delle strutture sanitarie pubbliche del Tirreno cosentino, con la sua bambina, per effettuare un prelievo di sangue e richiedere delle analisi di routine.

Dopo essere stata inviata da un laboratorio a un reparto (un classico…), è stato effettuato il prelievo sulla bambina. La mamma ha ricevuto i risultati ottenibili nell’immediatezza ed è andata via, sapendo che per i restanti avrebbe dovuto attendere qualche giorno.

Passato il tempo necessario e non ricevendo alcuna comunicazione, la donna ha telefonato alla struttura stessa per avere informazioni. Dopo un fitto rimpallo di interni telefonici (un superclassico…), riesce a scoprire che il laboratorio analisi non ha mai ricevuto la provetta e che lì da dove avrebbe dovuto partire non ce n’è traccia.

Scomparsa nel nulla. Un po’ come i famigerati Livelli essenziali di assistenza sanitaria.

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“La vita è peggiorata con la pandemia – si sfoga la mamma – in questa terra, tanto amara e maledetta quanto bella.

Ne ho le scatole piene di pensare che l’unica alternativa sia di andare via, abbandonando famiglia, affetti, casa e lavoro.

E pensare che mi avevano consigliato di fare il prelievo fuori regione! E che io ho risposto: ‘Per quanto delicato, è solo un prelievo. Non è il caso di viaggiare per più di un’ora fuori regione‘.

Eppure – aggiunge il genitore deluso – ora, è proprio lì che dovrò recarmi perché in quella struttura non ci metterò mai più piede.

Sono esasperata e conosco altre madri nella mia condizione. La domanda è: dove dobbiamo portare i nostri figli con esigenze particolari ora che il territorio rischia anche di perdere servizi a loro dedicati?

Queste cose influiscono anche sul rapporto con i nostri bambini, che si accorgono del disagio che viviamo.

Con quale faccia – conclude dunque la donna – i politici ci chiederanno il voto”?

Pierina Ferraguto

Giornalista pubblicista dal 2013. Laureata in Filosofia e scienze della comunicazione e della conoscenza all'Università della Calabria. Dal 2006 al 2008 lavora come stagista nella redazione di Legnano de Il Giorno. In Calabria lavora con testate regionali di carta stampata e televisive.

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