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Sequestrata l'area ex-Marlane

I sigilli tornano sui terreni dove si ritiene siano state seppellite sostanze nocive


Si mira ad accertare le connessioni fra i circa 80 decessi e l’ambiente di lavoro

 

di MATTEO CAVA

 

PRAIA A MARE – Torna ad essere posta sotto sequestro l’intera area della ex fabbrica

tessile Marlane di Praia a Mare.

 

Si tratta di un pezzo di terreno di circa centocinquantamila metri quadrati, compreso il depuratore di cui si parla in questi giorni, e con un fabbricato di circa settantamila metri quadrati.

 

Da tempo c’è il fondato sospetto, ora confermato anche dal ritrovamento di materiale

tossico e nocivo, che nei terreni, e forse anche sotto allo stesso depuratore che si vorrebbe rimettere in funzione, ci siano sepolti rifiuti pericolosi, probabilmente

anche residui delle lavorazioni chimiche per i colori dei tessuti.

 

Il sequestro è stato fatto nella mattinata di ieri su sollecitazione degli avvocati Lucio Conte, Augusto Marragony, Tommaso Sorrentino ed Enrico Caterini. I legali difendono numerosi

lavoratori e familiari di operai che negli anni hanno contratto malattie tumorali.

 

Il terreno sottoposto a due precedenti diversi sequestri stava per essere liberato dai

vincoli e forse anche venduto in seguito a bonifica. Ma i legali sostengono che se si

effettuerà la pulizia dell’area, dove sono stati sotterrati anche detriti di eternit, verranno sepolte per sempre prove importanti.

 

Le operazioni di dissequestro erano iniziate lo scorso 3 marzo. La sospensione del

Piano di caratterizzazione ambientale è avvenuta lo scorso 16 marzo su iniziativa

del giudice civile Goggiamani. Nella mattinata di ieri su disposizione del sostituto

procuratore Antonella Lauri sono tornati i sigilli sull’intera area industriale.

 

Si vuole evitare, insomma, che la bonifica possa eliminare qualsiasi fonte di prova.

Nei mesi scorsi sono stati prelevati campioni di terreno e di materiale. Le tute bianche dei vigili del fuoco dello speciale nucleo e gli agenti del Corpo della guardia forestale hanno effettuato una serie di scavi, anche con mezzi meccanici, per conto della procura della Repubblica di Paola.

 

L’amianto che è stato rinvenuto in gran quantità nel corso degli ultimi prelievi di terreno

era oggetto di una intervista di un operaio della fabbrica, L.P., che ha lavorato dal

1959 al 1995, e che è stato colpito da carcinoma alla vescica.

 

“L’azienda dice che non è mai stato usato amianto. I 108 telai esistenti nella fabbrica – afferma il lavoratore – avevano i freni che funzionavano ad amianto. E questi freni si consumavano abbastanza spesso e velocemente. Quando usciva la polverina di amianto per eliminarla dagli ingranaggi ci si soffiava con una pistola ad aria compressa e

tutto andava in giro. E quindi tutti respiravamo queste polveri”.

 

In molti ricordano la nube che veniva definita la ‘’Nebbia in val Padana’’ e c’è anche chi non dimentica, al termine delle giornate di lavoro, le narici piene di polvere nera.

C’è qualche operaio che ricorda ancora una volta nomi di prodotti: il colore nero della

Bayer Milano, prodotti della Cibo-Geygi di Saronno, della Sandoz di Milano, della

Francolor e della Henkel, alcuni messi fuori produzione per la particolare tossicità.

 

Qualcuno è riuscito a contare i morti per tumore: si tratta di circa ottanta persone. I legali mirano a dimostrare la possibile connessione fra i decessi, le malattie e l’ambiente di lavoro malsano.

Andrea Polizzo

Giornalista professionista dal 2010 e blogger. Sin dal 2005 matura esperienze con testate regionali di carta stampata, on-line e televisive. Attualmente collabora con il mensile d'inchiesta ambientale Terre di Frontiera e con il network VicenzaPiù. Ideatore di blogtortora.it, caporedattore e coordinatore di www.infopinione.it.

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