Il villaggio turistico San Giorgio sequestrato con altri beni per 40 milioni di euro all’imprenditore Pasquale Capano. Vicino al clan Muto, l’uomo è finito nel mirino della guardia di finanza e della Dda di Roma. Nel suo computer una “lezione di diritto ‘ndranghetistico”.
SAN NICOLA ARCELLA – C’è anche un villaggio turistico a San Nicola Arcella tra i beni sequestrati a Pasquale Capano.
L’imprenditore calabrese, da anni residente a Roma, è prossimo al clan Muto, già coinvolto nell’operazione Azimuth.
Si tratta del villaggio turistico San Giorgio, 34 villette e altre strutture in via di realizzazione. Ma anche piscina e spiaggia privata.
L’uomo è stato colpito da un’operazione della guardia di finanza di Roma, denominata Hummer 2. Ha subìto un sequestro che ha portato alla confisca definitiva di beni per circa 40 milioni di euro, ora passati definitivamente allo Stato.
Al termine di indagini del nucleo di polizia tributaria, a dicembre 2013 Capano era stato arrestato con la moglie ed il genero. Il tribunale del riesame di Roma aveva poi accolto l’appello proposto dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma. Riconosciuta la sussistenza di gravi indizi nei confronti di Capano e dei suoi familiari e la sussistenza delle ipotizzate esigenze cautelari.
Gli investigatori avevano da tempo in mano un profilo di Pasquale Capano disegnato attraverso dichiarazioni di collaboratori di giustizia e acquisizioni investigative. Le fiamme gialle procedono per punti.
Il tribunale ordinario di Roma ha quindi disposto la confisca definitiva del patrimonio societario, mobiliare ed immobiliare di Pasquale Capano.
I sequestri hanno interessato il Lazio, la Calabria, la Campania, la Sardegna e la Lombardia.
Passano definitivamente al patrimonio dello Stato:
Il tutto per un valore complessivo di stima pari a 39milioni 580mila 488 euro e 87 centesimi.
I giudici avevano posto l’accento su una prova: una lettera inviata ad un altro pregiudicato e trovata nel computer dell’imprenditore.
Nel testo un messaggio chiaro: l’affiliazione alla ‘ndrangheta è una scelta di vita, prima che un’opportunità affaristica. Segue – secondo gli investigatori – “una vera e propria lezione di diritto mafioso”.
Soprattutto sull’irrevocabilità della scelta, sul vincolo di sangue e sul mutuo soccorso tra affiliati. In particolar modo in occasione di “infortuni giudiziari”.
Emblematica l’affermazione “…la prima cosa che mi è stata spiegata nelle prime frequentazioni di alcuni ambienti è stata la differenza fra concetto di amicizia e fratellanza. L’amicizia è espressione di una frequentazione abituale, la fratellanza rappresenta un legame”.
E ancora “…è proprio su questo principio (fondamento della filosofia massonica) che è stato concepito il rituale iniziatico di accettazione ed ingresso nella sacra famiglia e onorata società”.
Un principio “radicato nella storia antica” della Calabria. “Si entrava a far parte dell’onorata società attraverso un atto definitivo (patto di sangue)”.
È con esso che “si stabiliva il legame di fratellanza. Tutto questo perché era stato considerato unico vero meccanismo nel comportamento umano che evitava atti di tradimento. Il tempo infatti ha dato ragione agli uomini d’onore di una volta, che consideravano l’onorata società pari alla sacra famiglia. Di conseguenza, non come opportunità affaristica ma come scelta di vita che imponeva regole basate sul principio dell’onorabilità e della fratellanza”.
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