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Clan Muto, l’economia piegata ai voleri della ndrangheta

I recenti arresti di due affiliati confermano il quadro: il clan Muto di Cetraro controlla l’economia del territorio nonostante le ordinanze della Dda, Frontiera e Cinque lustri. La figura del Re del pesce e dell’aspirante al trono Luigi Muto.


CETRARO – Un’economia piegata ai voleri della ndrangheta.

Un’economia parallela, fatta di soldi in nero e di riciclaggio, con una miriade di attività che ruotavano, secondo l’assunto degli inquirenti, attorno alla cosca. In mezzo, tangenti ed estorsioni.

Gli ultimi arresti, operati dalla polizia su richiesta della Dda, confermano ancora una volta che in 40 anni il metodo utilizzato dal clan Muto non è mai mutato. Così come non è mai mutata la sottomissione della gente nei confronti del clan.

Alla saggezza del capo clan Franco si è però contrapposta in questi anni l’irruenza e la violenza del figlio Luigi che molto spesso ha rischiato di compromettere rapporti consolidati nel tempo.

Il territorio sottomesso

Le inchieste Cinque lustri e Frontiera, riunificate a Catanzaro e che il 19 ottobre approderanno anche al tribunale di Paola, tracciano a larghe linee uno spaccato sociale, quello del Tirreno cosentino, che parla di violenze, soggezione e riverenze.

Amici del clan costretti anche a “cedere” le donne ai voleri dei capi. Luigi Muto si prendeva tutto, con le buone o le cattive. Ma erano spesso le donne a fare una corte spietata all’erede al trono. E ci sono contesti in cui sono maturati per tale ragione anche omicidi che però con la ndrangheta hanno poco che fare.

Soldi ne sono girati tanti in questi anni, e lo dimostrano le ordinanze. Questo grazie anche ad affari importanti. Come quelli con l’imprenditore romano Giorgio Barbieri. L’operazione Frontiera del luglio 2016 ha fatto finire in carcere Franco Muto, ma i denari andavano ugualmente consegnati al clan. A piede libero era rimasta Angelina Corsanto (già moglie del boss, coinvolta poi nell’inchiesta Cinque lustri, ndr) ma anche il genero di Muto.

Il clan e gli imprenditori

Tra i fedeli c’erano i pezzi grossi. Grazie al “Re del pesce”, Giorgio Barbieri si sarebbe aggiudicato tanti appalti. In particolare in provincia di Cosenza. Solo gli ultimi in ordine di tempo riguardano piazza Bilotti, l’aviosuperficie di Scalea, gli impianti sciistici di Lorica.

I soldi venivano raccolti non soltanto grazie a coloro i quali soggiacevano da anni alla volontà del boss, ma anche piegando le resistenze di quelli che cercavano di opporsi alla “legge” della ndrangheta.

Il pesce era anche un pretesto, oltre che un’economia parallela, da dove trarre profitto. Da almeno 20 anni, Davide Bencardino faceva l’esattore per conto del clan. Il sistema? Sempre lo stesso. Avvicinava gli estorti col preteso di consegnare il pescato. Poi c’erano le discoteche, i buttafuori. Il Castello doveva pagare il pizzo e l’attività di vigilanza della stessa era controllata dal clan.

Agli amici imprenditori di Muto nessuno doveva avvicinarsi. All’Hotel delle Stelle non doveva avvicinarsi nessuno, non bisognava e non si doveva avanzare alcuna pretesa.

Francesco Maria Storino

Attualmente collaboratore della Gazzetta del Sud ha lavorato per La Provincia, Comunità 2000, Edizioni master, Il Quotidiano della Calabria e Corriere dello Sport. Cura particolarmente la cronaca giudiziaria.

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