Il compito dell’intelligence è prevedere quanto può accadere. Il tema potrebbe essere prioritario nelle attività dei Servizi.
Recentemente ho svolto una lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria affrontando il tema del disagio sociale, che si incrocia con il digitale.
Ho esordito affermando che “il compito dell’intelligence è di prevedere quanto può accadere. Pertanto il tema del disagio sociale potrebbe essere prioritario nelle attività dei Servizi“.
Ricordando come questo fenomeno sia presente da tempo e in maniera diffusa nella società, ho analizzato la questione collegandola non solo alla sicurezza nazionale, ma anche allo scenario digitale, in quanto “viviamo contemporaneamente in tre dimensioni: fisica, virtuale e aumentata; questa ultima intesa come integrazione tra uomo e macchina che estende le possibilità dell’umano”.
Citando il recente rapporto dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale “Il mondo che verrà 2022”, ho evidenziato come il tema della disuguaglianza stia progressivamente crescendo con la globalizzazione e in Italia più che altrove, tanto che il divario di reddito tra il 10% più ricco e il 10% più povero ha raggiunto il rapporto di 11 a 1, superiore alla media internazionale”.
Riprendendo il saggio di Yves Mény “La nuova e vecchia rabbia”, ho illustrato come la storia sia caratterizzata dall’avvicendarsi di periodi di pace e di momenti sanguinosi, in quanto la violenza è insita nello sviluppo umano. I miglioramenti sociali sono stati il risultato, secondo Mény, di violenze e disordini oppure sono stati il premio ad eventi traumatici, come i diritti sociali ottenuti dopo le due guerre mondiali.
Ho poi esaminato le principali cause che contribuiscono alla formazione del disagio sociale. Tra queste vi sono l’inarrestabile immigrazione collegata con il declino demografico, la perdita di potere di acquisto dei cittadini occidentali, la trasformazione del lavoro con l’affermarsi di quello precario su quello stabile, l’impatto sconvolgente dell’intelligenza artificiale e la società della disinformazione, della quale le fake news rappresentano l’esempio meno pericoloso, poiché la vera disinformazione proviene dalla propaganda di Stato e dalla comunicazione istituzionale.
Ho quindi spiegato che la società della disinformazione si caratterizza per la dismisura delle informazioni da un lato e per il basso livello di istruzione sostanziale dall’altro, determinando un corto circuito cognitivo che allontana le persone dalla comprensione della realtà.
La pandemia rappresenta la materializzazione della società della disinformazione, con l’evidenza dei No vax che, senza entrare nel merito, sono in ogni caso la manifestazione evidente del crescente disagio sociale.
In merito all’intelligenza artificiale, sarà destinata a sostituire molte professioni, sia ripetitive che intellettuali. Secondo uno studio del Dipartimento del Lavoro statunitense il 64% delle persone che si iscrivono adesso nelle scuole, una volta terminati gli studi, svolgeranno una professione che ancora non è stata inventata.
Non abbiamo ancora sviluppato una coscienza dell’intelligenza artificiale, poiché manca la consapevolezza delle conseguenze dell’intelligenza artificiale, che è prevalentemente in mano ai privati.
Quanto al disagio esistenziale, che proviene da lontano, si sta assistendo a una dilatazione del disagio nella società, tanto che aumentano i disturbi psicologici e psichiatrici.
Il disagio sociale reale si evidenzia e si espande anche a livello digitale e ha marcati risvolti sociali e politici. Gli esempi sono numerosi come le controverse Primavere arabe, i tentativi di condizionamento elettorale in numerose nazioni, le rivelazioni di Wikileaks che dimostrano lo scarto tra dichiarazioni ufficiali dei governi e comportamenti reali, il terrorismo che viene amplificato dalla Rete come dimostra il caso dell’Isis, il protagonismo della criminalità nel web con i crescenti crimini informatici.
Occorre un sistema che tuteli il diritto dei cittadini alla sicurezza, concetto ampio che comprende non solo la sicurezza fisica intesa come controllo dei confini, ma anche quella sociale, alimentare e sanitaria. In tale scenario l’attività di intelligence orientata alla sicurezza diventa ancora più rilevante.
Infine, esaminando il contesto italiano, ricordo come un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora, determinando un costo annuo per la società nazionale di circa 36 miliardi di euro.
Prima della pandemia, più di un quinto dei nostri connazionali aveva difficoltà a pagare le spese mediche e più di cinque milioni e mezzo, negli ultimi tre anni, si sono indebitati per pagare le spese sanitarie. Tali indicatori rappresentano un malessere economico strutturale. A questo si deve aggiungere la disoccupazione giovanile, molto elevata nelle regioni meridionali, che alimenta le mafie.
Soffermandoci sulla dimensione digitale, ribadisco la necessità di una cyber education che deve essere intesa come uno strumento decisivo da insegnare obbligatoriamente nelle scuole, poiché la forza maggiore di una nazione è rappresentata da una cittadinanza istruita.
Il disagio sociale potrebbe essere utilizzato come paradigma interpretativo della realtà contemporanea, in quanto costituisce la manifestazione più evidente della crescente disuguaglianza globale.
Pertanto, se il disagio sociale diventasse fuori controllo potrebbe rappresentare un problema fondamentale di sicurezza nazionale, poiché potrebbe avere grave ripercussioni sulla credibilità e sulla stabilità delle istituzioni, richiedendo pertanto la necessaria attività preventiva dell’intelligence.
Molto dipenderà dal reale impatto delle misure del Pnrr, augurando che non si risolva in propaganda e distrazione di massa, perché rappresenta l’occasione per realizzare interventi concreti e strutturali, soprattutto nelle regioni meridionali.