Gli arresti delle tre serbe sollevano più di una reazione xenofoba
Luoghi comuni: sarebbe il caso di non fare di tutta l’erba un fascio
editoriale
DI ANDREA POLIZZO
È notizia di ieri l’arresto in pieno centro a Praia di alcune donne serbe, di etnia rom, provenienti dal campo nomadi di Salerno. I carabinieri le hanno fermate a seguito di un tentativo di violazione di domicilio con l’intento, si presume, di rubare.
L’ondata di rapine in appartamento di questi tempi, e di cui, per primo, questo sito si è occupato, ha talmente esasperato una consistente fetta della popolazione che la prima reazione registrata è stata quella di considerare le tre donne serbe responsabili delle ruberie. Ma, come le stesse forze dell’ordine hanno confermato, per modo e contesto territoriale della loro azione, non sarebbero riconducibili al fenomeno criminale che tanto fa discutere in questi giorni.
In una seconda fase, per le strade, quelle reali e quelle telematiche, molti sono stati i commenti ascoltati e, soprattutto, letti su facebook contenenti tracce di xenofobia, quella paura per l’altro, quella repulsione per il diverso che arriva anche a sfociare in discriminazione, intolleranza e perfino in manifestazioni violente.
Qualcuno scrive di aver già notato le “Tre belle signore” gironzolare in auto con la propria auto presumibilmente a scopo di ricognizione arrivando a chiedere di “Rispedirle al loro paese”.
A qualcun’altro scappa uno “Zingare di merda”, altri rilanciano con un “Datele fuoco” o “Squagliamole”, ma c’è anche chi si limita a sottolineare la propria rabbia semplicemente perché “Si continua a non dormire”.
Incuriosisce l’intervento di chi sostiene che nella raffica di colpi alle case sia coinvolto anche qualche “Paesano”, insomma qualcuno del posto. Un luogo comune, già sentito. Si narra sempre, in questi casi, che a guidare le mani leste degli stranieri (altro luogo comune, i romeni sono sempre i primi indiziati!) sia qualche compaesano certo della presenza di un bottino.
Andandocene per luoghi comuni, come non ricordare quelli sulla mancanza di controllo da parte delle forze dell’ordine e delle istituzioni.
Di questo e di altro ne ho discusso recentemente nel corso della trasmissione del venerdì sera che conduco su Rete 3, la Finestra sul territorio.
In quell’occasione è stata avanzata una domanda che si ripropone, come un luogo comune, al ripetersi di questi episodi. “Sei in casa tua, ci sono mogli e bambini che dormono, qualcuno entra in casa tua di soppiatto e te lo ritrovi davanti: cosa fai?”.
La risposta spontanea è “Proteggo coloro che amo”. Credo che nella malaugurata ipotesi che ciò avvenga, nessuno chieda i documenti. Non ci sono distinzioni di nazionalità, razza, lingua o religione. Chi ci ruba in casa viola i nostri diritti e mette a repentaglio i nostri affetti e può essere un ‘paesano’ come uno ‘straniero’.
Questa deriva xenofoba, appena accennata ma pronta a montare, la trovo ipocrita. Ci svilisce e ci mette nelle condizioni di punire indiscriminatamente chi è venuto qui è ha accettato le nostre regole e, di contro, salva tutti coloro con i documenti italiani in regola. Magari anche quelli che guidano le mani leste degli stranieri. Ammesso che non sia solo un luogo comune.
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