Queste in sintesi le conclusioni a cui è giunto il pool di esperti incaricato dal tribunale di Paola nell’ambito del processo Marlane. Ai periti era stato chiesto un nuovo studio ambientale per gettare luce sulle morti bianche tra i lavoratori e sull’inquinamento dei terreni che circondano la fabbrica dismessa del gruppo Marzotto.
Questa mattina, nel corso del processo penale per omicidio colposo e disastro ambientale ai dirigenti della fabbrica tessile di Praia a Mare, nell’aula Beccaria, si sono finalmente presentati tre dei quattro esperti in tribunale: il coordinatore del team, Giuseppe Paludi, con Pietro Comba e Piergiacomo Betta. Assente il quarto componente: Maria Triassi.
In maniera irrituale, il presidente della corte, Domenico Introcaso, ha acconsentito che venissero ugualmente esposte in forma sintetica le conclusioni del loro lavoro. Non è stato possibile, ovviamente, passare all’esame della perizia in quanto l’incartamento non era stato distribuito alle parti.
Secondo il pool sono almeno tre i casi di tumore riconducibili con certezza all’esposizione prolungata al Cromo dei lavoratori. E questo sulla base di valutazioni epidemiologiche sottostimate, ovvero basate su risultati ottenuti utilizzando solo dati certi e certificati.
L’indicazione, dunque, è da considerarsi come limite minimo. Senza scendere nei dettagli, i periti hanno riscontrato dati in eccesso circa i tumori al polmone e alla vescica. Lo studio non ha riscontrato eccesso statistico sulle patologie al cuore o al polmone in correlazione all’abitudine al fumo.
Confermata, inoltre, la “tesi dell’ambiente unico” come causa dell’esposizione alle sostanze cancerogene per tutti i lavoratori e non solo per gli addetti alla tintoria e alla preparazione del colore. Il tutto aggravato dal sistema di areazione a parziale ricambio dell’aria, dalla carenza nelle dotazioni dei dispositivi di protezione individuale e dal sollevamento di polveri nocive nelle operazioni di pulizia dei macchinari con aria compressa.
Il pool ha dichiarato di aver rinunciato ad effettuare nuovi campionamenti sul luogo a causa dei troppi anni intercorsi dall’epoca dei fatti. Per questo motivo, la perizia ha poggiato sulle risultanze di quelle precedenti: la Magnanimi e la De Rosa.
E sulla base di quei dati, i periti del tribunale hanno concluso che le concentrazioni di sostanze cancerogene nei terreni Marlane sono basse. Tuttavia, il danno ambientale sarebbe molto probabile a causa della presenza di grandi quantitativi di trimetilduebenzilammina, una sostanza non cancerogena, ma pur sempre tossica e oltretutto non solubile. Se a contatto con fonti di calore – hanno spiegato i periti – diventa pericolosa per la salute dell’uomo.
Con la consegna della perizia agli avvocati si aprirà una nuova fase dibattimentale calda. A partire dalle udienze in calendario per venerdì 6 giugno e sabato 7. il legali della difesa hanno già preannunciato una imponente offensiva sulla superperizia.
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