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Frontiera, Eurofish: la ditta del clan

Frontiera al Tdl di Catanzaro: il controllo del mercato del pesce da parte del clan Muto. Nonostante i sequestri l’Eurofish stabilmente in mano al clan.


CETRARO – L’Eurofish avrebbe dovuto essere stato confiscato da dieci anni e acquisito al patrimonio dello Stato.

Perché poi nei fatti, con altri nomi, avrebbe continuato ad operare sotto la guida dei Muto per un altro decennio? Il pubblico ministero Vincenzo Luberto in aula a Catanzaro nel corso dell’udienza dinanzi al tribunale delle libertà ha ipotizzato un altro reato riconducibile all’operazione Frontiera.

Si parla della mancata applicazione di quanto scaturito dal processo Azimuth. “Ci sono altre responsabilità – ha spiegato – che vanno approfondite. Non ci fermeremo qua”.

Riemergeranno ancora una volta le responsabilità per gli amministratori giudiziari o per coloro i quali dovevano notificare alcune disposizioni? Vedremo.

Fatto sta che anche nell’ordinanza del Gip di Catanzaro si scrive: “Si ritiene vi sia piena continuità tra l’Eurofish e le ditte che l’hanno preceduta e che la Eurofish pur formalmente intestata a Andrea Orsino sia una società di fatto in cui un ruolo fondamentale viene svolto da Luigi Muto”.

I giudici accertavano anche a suo tempo che i Muto controllavano l’offerta del pescato e le attività portuali dal lontano 1983. Aggiungendo che “vi è una piena continuità tra la ditta Eurofish (attualmente in sequestro) e le ditte Corsanto e Freemar che si sono occupate della commercializzazione di prodotti ittici nel passato”.

Ma c’è anche un altro dato di fatto di non secondo piano. All’Eurofish il boss Franco Muto poteva accedere tranquillamente dalla sua palazzina. Quello che doveva essere il mercato del pesce (ma non lo era negli effetti) è collocato nella medesima struttura dove lo stesso boss risiedeva prima di essere raggiunto dall’ordinanza Frontiera.

Luberto ha anche parlato del ruolo delle mogli dedite alla gestione delle pescherie. Lo spaccato criminale emerso è quello di un’organizzazione ben congegnata e collaudata. A corroborare l’accusa, quanto i giudici paolani sconsolati scrivevano: “La mancanza del sistema di vendita all’asta riscontrata nel porto di Cetraro ha un rilievo non trascurabile. Non si può comprendere come i pescatori possano preventivamente rinunciare ad un maggior guadagno come è comunemente praticato in ogni mercato del pesce”.

Francesco Maria Storino

Attualmente collaboratore della Gazzetta del Sud ha lavorato per La Provincia, Comunità 2000, Edizioni master, Il Quotidiano della Calabria e Corriere dello Sport. Cura particolarmente la cronaca giudiziaria.

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