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Paola, da Marlane a Papa Giovanni XXIII: morti senza colpevoli

Tra incapacità gestionali e procedure penali. Una fabbrica e un istituto di cura che hanno mietuto tante vite. Aziende che sono andate avanti per anni a pane e “veleno”. 


PAOLA – Morti senza colpevoli in quelle che sono state autentiche cattedrali del deserto del Tirreno cosentino. Tra incapacità gestionali che hanno lasciato macerie e procedure penali.

Da un capo all’altro del Tirreno cosentino, la ex Marlane e il Papa Giovanni XIII, hanno sfamato migliaia e migliaia di persone. Una fabbrica e un Istituto di cura hanno rappresentato per anni un grosso bacino di posti di lavoro nel territorio. Ma a quale prezzo?

La magistratura ancora “scava” alla ricerca dei responsabili.

Scaverà di fatto tra i terreni della fabbrica di Praia a Mare per cercare quei veleni e quelle contaminazioni che per la Procura di Paola sono stati responsabili della morte di centinaia di operai: 107 trattati nel primo procedimento, 29 nel secondo.

Proprio sul secondo per il quale è in corso l’incidente probatorio in Tribunale sono adesso concentrati gli sforzi della Procura e del capo dei pm Pierpaolo Bruni in considerazione, tra l’altro, del verdetto di assoluzione della Corte di Appello.

Nei giorni scorsi i periti incaricati dal Gip hanno effettuato i nuovi sopralluoghi sull’area. Seguiranno i carotaggi, i campionamenti, e la ricerca di un nesso causale tra morti e sostanze cancerogene provenienti dall’ambiente di lavoro.

L’ex Marlane era una fabbrica tessile a ciclo completo. Sorta a Praia a Mare negli anni ‘50 sotto le insigne delle gesta imprenditoriali del conte piemontese Stefano Rivetti di Val Cervo. Ha cercato senza grossa fortuna di sfruttare i fondi della Cassa del Mezzogiorno. Dopo qualche anno è arrivato così il declino e nel 1969 è stata assorbita da Eni che la ha accorpata a Lanerossi Spa. La cessione a Marzotto è del 1987. All’apice della sua parabola la Marlane impiegava oltre 1000 operai. Uno stabilimento che ha dato ai suoi lavoratori pane e “veleno”.

L’ultimo capitolo della magistratura a riguardo dell’Istituto Papa Giovanni XXIII “riporta” invece alla sbarra Don Alfredo Luberto (l’ex direttore) e Fausto Arcuri (il consulente commerciale) con l’accusa di peculato.

Il 14 febbraio in Tribunale il caso delle spese fantasma per fatturare barbieri, assistenze religiose, servizi di lavanderia e stireria. Spese che gli ospiti dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello non avrebbero mai sostenuto. Servizi pagati con le pensioni che percepivano.

Anche tra queste mura si sono registrate morti sospette. E gente scomparsa che si sarebbe allontanata “volontariamente” dall’Istituto a cui era stata affidata.

Il Papa Giovanni XXIII ha chiuso i battenti dodici anni fa lasciando a Serra D’Aiello miseria e desolazione. La storia dell’Istituto risale agli anni Cinquanta. Don Giulio Sesti crea una piccola struttura che ospita poveri e anziani. Cresce a dismisura negli anni perché si capisce che rappresenta una miniera d’oro. I ricoverati che ricevono le pensioni le girano all’Istituto in cambio di cure ed assistenza. Anche le spese mediche vengono rimborsate. Don Giulio nel frattempo esce dalla scena e l’Istituto viene gestito personalmente dal presidente don Alfredo Luberto. Una gestione tra le più imbarazzati della storia della Chiesa dopo gli Anni ’60, tra squallore e incuria.

Francesco Maria Storino

Attualmente collaboratore della Gazzetta del Sud ha lavorato per La Provincia, Comunità 2000, Edizioni master, Il Quotidiano della Calabria e Corriere dello Sport. Cura particolarmente la cronaca giudiziaria.

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