EDITORIALE ||| Sanità: i cittadini del Tirreno cosentino approfittino di questa quarantena forzata per riflettere su cosa realmente vogliono.
TORTORA – Sono giorni pessimi. L’epidemia di Covid-19 se ne sta lì, a instillare in noi una montagna di riflessioni. Soprattutto sul come saremo e cosa cambieremo quando tutto sarà finito.
La sanità è tornata ad essere un tema di riflessione per il territorio del Tirreno cosentino. E la realtà ci restituisce istantanee disarmanti.
Lo Spoke Paola – Cetraro pare sempre più indecifrabile e in molti (non ultimo Raffaele Papa) ritengono sia il caso di riprendere il discorso ormai perennemente in sospeso dell’ospedale di Praia a Mare.
Nelle chat di whatsapp in cui messaggio con gli amici si prova soprattutto a scherzare. Anche su una cosa dannatamente seria come il Coronavirus. Lo esorcizziamo, senza però mai riuscirci del tutto. In una di queste, ieri, ho scritto una cosa molto pesante.
“Non esco di casa. Tremo al solo pensiero di me o di qualcuno di caro contagiato e trasportato all’ospedale di Cetraro“.
Ne approfitto per ringraziare tutti i medici, infermieri, Oss, portantini, addetti alle pulizie che sono la nostra prima linea in questo territorio. Mi piace pensare che siano i primi a non volere una sanità di questo livello.
Spero che qualcuno smentisca questa affermazione: da Tortora ad Amantea non c’è la sanità che gli abitanti meritano.
Credo tutti noi dovremmo sfruttare questo tempo di quarantena per riflettere anche su un tema come questo. La lotta non deve essere per l’ospedale di Praia a Mare, o per il San Francesco di Paola o per il Iannelli di Cetraro. Sono solo contenitori. La lotta deve essere per i contenuti.
Ma fin ora, la “lotta” della popolazione, delle associazioni e dei comitati e quella dei politici ha prodotto contenitori senza o con pochi contenuti.
O con contenuti “sparpagliati” come nel caso dello Spoke Paola-Cetraro, una situazione a dir poco imbarazzante. O con contenuti “minimali” come nel caso di Praia a Mare, dove l’imbarazzo ha lasciato il campo alla rassegnazione.
La lotta, insomma, deve essere per la sanità territoriale.
Quel che credo che tutti noi dovremmo pretendere è che un ospedale, o due o tre o quattro ospedali di questo territorio debbano essere realmente tali. Altrimenti: nessuno.
Pretendere dei veri ospedali significherà non accontentarsi del meno peggio. Un “mezzo” pronto soccorso, una dozzina di posti letto in qualche specialistica, un reparto tre mesi lì e tre mesi da un’altra parte.
Assurdo, poi, è stato accontentarsi di “avere un codice”, di montare una insegna, di tagliare un nastro. Sono cose insufficienti per parlare di ospedale, di sanità.
Se c’è una lotta da fare (e da preparare ora) è per il tutto o per il niente.
Chiudo affermando un concetto molto impopolare. Se Paola, Cetraro e Praia a Mare devono essere “ospedalicchi”, piuttosto che chiudano.
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