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Brexit, noi: calabresi in Uk vi raccontiamo la nostra amarezza

Brexit: la Gran Bretagna fuori dall’Europa. Ne abbiamo parlato con tre calabresi che da anni si sono integrati e vivono in Uk e abbiamo raccolto reazioni intrise d’amarezza.


LONDRA – Brexit: lo scorso 23 giugno 2016 un referendum popolare ha sancito l’uscita della Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord dall’Unione Europea.

Una scelta che avvierà la procedura, piuttosto macchinosa, per ufficializzare il distacco del Regno Unito dall’UE.

Anche in queste ore, i media sono affollati da approfondimenti sulla Brexit, sopratutto in merito alle conseguenze che si registreranno nei diversi ambiti della vita dei cittadini. Un’attenzione particolare, dal punto di vista italiano, è rivolta agli effetti che questa decisione avrà sui tanti connazionali che da anni vivono sull’isola di Sua Maestà.

Noi abbiamo sentito alcuni amici che si tengono aggiornati su cosa accade a casa loro attraverso le pagine di questo sito. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Andrea e Marianna

Andrea e Marianna sono una coppia e da alcuni anni vivono a Forest Hill, un comune a sud-est di Londra
nella zona 3. Lavoratore autonomo lui, first assistant di un noto videomaker lei.

“La notte prima – dice Marianna – avevo perfino dimenticato l’EU Referendum. La mattina del 24 giugno, al risveglio, lo shock. Tristezza, smarrimento, incertezza. Un giorno diverso quello di oggi, o da oggi. Diverse le reazioni, tra entusiasmo e malcontento. Di sicuro il senso di esclusione, da ambo le parti s’intende, è stato devastante. Quello che stiamo attraversando è un periodo storico fatto di decisioni drammatiche. E intanto la Scozia chiede l’indipendenza. Addirittura ci sono voci che vogliono Londra come stato indipendente. E noi? Credevo in un’unione. Sono profondamente delusa”.

“Nella zona di Londra in cui viviamo – dice Andrea – buona parte delle finestre erano tappezzate di Vote remain, e gli exit poll davano vincente proprio il remain, al 52 percento. Sono andato a letto tranquillo. Il risveglio è stato un po’ traumatico e ho pensato: coraggiosi questi inglesi. Quello che si è venuto a creare non mette noi europei in una situazione positiva. So che ora sarà complicato sotto un punto di vista burocratico, e questo mi infastidisce. Con timore aspetto l’evoluzione di questa situazione, ma di certo non lascerò cosi facilmente un luogo dove ancora oggi sono convinto di voler restare”.

Francesco

Francesco, invece vive a Cambridge, nella parte orientale dell’Inghilterra. È un ricercatore ed è uno dei tanti corregionali che hanno trovato la loro strada e quella della loro famiglia altrove. Non ama – come leggerete – essere definito un cervello in fuga. La sua storia l’avevamo già raccontata quando eravamo ancora blogtortora.

Ecco il suo pensiero in merito alla Brexit.

“Sono arrivato nel Regno Unito 6 anni fa – dice Francesco – viaggiando in macchina dall’Italia e portandomi, forzatamente, soltanto quello che entrava nel bagagliaio, più mia moglie (ricercatrice anche lei) e una pupetta di appena 5 mesi.

Il mio cervello non è fuggito: ho avuto la fortuna di lavorare in un istituto di ricerca di eccellenza dopo la laurea, dove mi è stata data l’opportunità di crescere tanto professionalmente e di imparare molte cose su come funziona la ricerca scientifica.

Tra queste, importantissime, sono la necessità e la voglia di cambiamento e di confronto, la curiosità e l’apertura mentale: tutte cose di cui un’esperienza professionale all’estero ti satura, completando il tuo background e arricchendoti enormemente anche sul piano personale.

L’epoca della mia partenza ha coinciso con quella dell’ultimo dei tanti governi non proprio ineccepibili, e degli inspiegabili plebisciti che venivano tributati quotidianamente a personaggi politici nazionali di risma infima, da buona parte dei miei connazionali: cosa che proprio non mi sono mai riuscito a spiegare e che ha contribuito sicuramente anch’essa alla mia decisione di cambiare aria.

Giunta a Cambridge, la mia giovane famiglia è stata ospitata per poco più di un mese da una coppia di neo-colleghi finlandesi che, partendo per le vacanze, ci hanno offerto la loro casa come se fossero stati nostri amici da sempre. Trasferitici nel nostro primo appartamentino, abbiamo legato molto con la famiglia indiana che abitava al piano di sopra e con i signori iraniani che abitavano di fronte a noi che ci portavano spesso dei dolci fatti in casa da loro. Poi piano piano siamo riusciti a comprare una casa nostra, e nel frattempo la nostra famiglia ha cominciato a diventare inglese sia metaforicamente che letteralmente: mia moglie già lo era per discendenza e il secondo piccolo, nato due anni fa, ha acquisito la cittadinanza da lei. In conclusione, ora siamo di fatto proprio anglo-italiani fifty-fifty.

Vivere qui, in questi 6 anni, non è stata una passeggiata di salute. La lontananza dalle persone e dai luoghi che più si amano, imparare lingue, usi e costumi diversi dai propri, in altre parole essere costretti a reinventarsi quotidianamente, e farsi forzatamente un bagno di umiltà tutte le sere perché in molte circostanze si è dei perfetti signor nessuno, far vivere i propri figli lontano dai nonni, dai cuginetti e dagli altri familiari… difficile, anche solo da spiegare.

Tante però le cose che, poste sull’altro piatto della bilancia, ci hanno fatto dimenticare tutti questi disagi: una su tutte essere trattati in maniera fair sempre, comunque e dovunque. Sul posto di lavoro, mentre si guida l’automobile, in ospedale, la prima volta in una banca qualunque, nella fila al supermercato. Ovunque insomma.

Fairness: un termine difficile da tradurre in italiano ma che indica la qualità di giudicare e di interagire con chiunque in una maniera che sia totalmente libera da qualunque forma di pregiudizio.

Sotto questo punto di vista, questa nazione ci ha letteralmente abbracciato da subito. Ci ha accolto, ci ha dato tanto, ci ha fatto dimenticare il suo cielo perennemente plumbeo e ci ha fatto letteralmente innamorare di lei, prospettandosi luogo ideale per far crescere i nostri bimbi, garantendo loro un futuro dignitoso e una qualità della vita di gran lunga migliore di quella a cui avremmo potuto aspirare in patria.

Stamattina, sono stato svegliato dall’app della Bbc che mi informava dell’esito del referendum: è stata letteralmente una doccia fredda. All’improvviso ho realizzato che Cambridge, il mondo accademico e della ricerca scientifica in Uk, non sono affatto rappresentativi dell’intera popolazione e che in questi ultimi anni si è andata formando una maggioranza di britannici che considera me, la mia famiglia e tanti altri come noi un peso piuttosto che una risorsa.

Mi sono sentito, all’improvviso, tradito, non più gradito: quella nazione che ho amato sembra essere irrimediabilmente sparita lasciando il posto ad una realtà che né io né gli stessi tanti colleghi inglesi riusciamo a spiegarci.

Non mi sono interessato tanto della politica locale in questi ultimi anni. Vuoi per gli impegni di lavoro, vuoi perché ancora non ho la familiarità necessaria con le istituzioni locali. Non l’ho fatto io e forse non lo hanno fatto a sufficienza tanti altri inglesi e nel frattempo c’è stato chi ha parlato alla pancia del paese, convincendo poco più della metà della popolazione a fare un salto nel buio, gridando egoisticamente “british first”!

Tanti inglesi oggi non capiscono come questo sia potuto accadere, si sentono come mi sentivo io quando ho lasciato il mio paese.

In questo momento scrivo da circa 2mila 500 chilometri dal posto in cui sono nato. Nutro ancora verso il mio paese d’origine gli stessi sentimenti che un figlio trascurato proverebbe verso un genitore scelleratamente inaffidabile. Lo detesto, ma con una voglia immensa di amarlo e con la triste consapevolezza che non posso farlo. Oggi provo qualcosa di simile o forse di ancora più amaro per il posto in cui mi trovo”.

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About Andrea Polizzo

Giornalista professionista dal 2010 e blogger. Sin dal 2005 matura esperienze con testate regionali di carta stampata, on-line e televisive. Attualmente collabora con il mensile d'inchiesta ambientale Terre di Frontiera e con il network VicenzaPiù. Ideatore di blogtortora.it, caporedattore e coordinatore di www.infopinione.it.

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