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‘Ndrangheta? Si combatte denunciando

Denunciare nonostante le latitanze delle leggi e dello Stato. L’appello di Libera in un incontro a Palazzo Marino di Santa Maria del Cedro. A lanciarlo don Marcello Cozzi, don Ennio Stamile e il sindaco Ugo Vetere. Si lavora alla costituzione di un presidio per l’Alto Tirreno cosentino.


SANTA MARIA DEL CEDRO – Per combattere la ‘ndrangheta le leggi a garanzia dei cittadini che denunciano usura e racket devono essere applicate concretamente.

Parola di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Uno dei messaggi lanciati ieri sera a Santa Maria del Cedro nel corso del convengo “Racket ed usura, sistema ed impero. L’aggressione mafiosa all’economia ed al territorio”.

Al tavolo dei relatori a Palazzo Marino don Marcello Cozzi e don Ennio Stamile, rispettivamente referenti nazionale e regionale di Libera, e il sindaco Ugo Vetere.

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Da sinistra: don Marcello Cozzi, don Ennio Stamile e Ugo vetere

Nella sala dell’ex Carcere dell’impresa erano presenti all’incirca 70 persone. Il tutto, simbolicamente, ad un anno circa dallo scacco al clan Muto di Cetraro con l’operazione Frontiera. E a soli tre giorni di distanza dall’udienza a Catanzaro per la decisione sulle richieste di rinvio a giudizio e per i non luogo a procedere.

Proprio nello stesso giorno, inoltre, e sempre a Catanzaro, si dovrebbe avere la sentenza per l’appello dell’operazione Plinius sulle commistioni tra clan Muto e l’ex governo cittadino di Scalea.

Il procedimento Frontiera è stato unificato con “Cinque lustri”, altra indagine della Dda calabrese contro la cosca cetrarese che comanda sul territorio del Tirreno cosentino, della Basilicata Sud e su parte del Cilento, in Campania.

Plinius, Frontiera e Cinque lustri. Tre operazioni della Dda che hanno raccontato come la ‘ndrangheta locale controlla l’economia di un così vasto territorio sotto ogni aspetto: dal servizio lavanderia per le attività ricettive fino alle grandi infrastrutture come l’aviospuerficie di Scalea.

Come sconfiggo la mafia?

Ma allora come sconfiggo la mafia? Don Marcello Cozzi racconta di come ha rigirato il quesito a Gaspare Spatuzza. Ovvero l’ex sicario dei Graviano del quartiere Brancaccio di Palermo, tra gli esecutori materiali dell’omicidio di don Pino Puglisi nel 1993.

È sufficiente un idraulico” gli ha spiegato il collaboratore di giustizia ricordando come a Brancaccio se serviva un idraulico i Graviano lo mandavano nel giro di mezz’ora a risolvere il problema. “Se ci fosse stato uno sportello comunale nel quartiere, noi ci saremmo rivolti lì” ha concluso l’aneddoto.

Un racconto, insomma, per spiegare come dal bisogno dei cittadini, anche minimo, nasce il potere del malaffare laddove lo Stato non fornisce risposte. Così, oggi, uno dei principali bisogni della gente è quello della liquidità. Quando le banche hanno sensibilmente chiuso i rubinetti la mafia ha aperto un redditizio business.

Fatti che emergono dal recente dossier di Libera su racket ed usura gestiti dalle mafie. Uno studio periodico che Libera compila grazie ai fascicoli di indagine delle principali procure italiane.

Numeri spaventosi relativi ai capitali investiti e ai ricavi ottenuti dai clan, almeno 70, che negli ultimi anni sono entrati nel settore dei prestiti. Vertiginosi se si pensa ai tassi di interesse applicati: da un minimo del 400 percento ad un massimo del 1600 percento annuo. Sensazionali rispetto alla quantità di denaro liquido sequestrata dalle forze dell’ordine in questo ambito: 450 milioni di euro nel giro di pochi anni. Chi indaga, nelle carte parla sempre di Impero.

“Si dice sempre – ha commentato don Cozzi – che oggi in Italia non ci sono soldi. O vogliamo far finta di non sapere dove sono? Di fronte all’impero c’è un sistema contrapposto a quello economico attuale che non funziona. Perché per le persone in difficoltà, non solo imprenditori, genera una spirale inarrestabile.

Senza mezzi termini: oggi chi è in ritardo con pagamenti di tasse, mutui, prestiti e forniture si rivolge alla mafia. Perché non ha alternativa. Allora anche le banche devono cambiare. Libera come altre istituzioni che provano a fornire alternative si limita a tappare buchi, a mettere cerotti”.

Una riflessione a questo punto è stata posta sullo strumento della denuncia. Secondo il referente nazionale di Libera il numero delle persone che in Calabria ha denunciato racket o usura è cresciuto.

“Ma il problema – ha detto don Cozzi – è che le leggi esistenti devono essere attuate velocemente. L’imprenditore sarebbe incentivato a denunciare se in 6 mesi la sua attività potesse tornare nell’ambito legale. La verità è che passano anche anni e non si vede l’ombra di quello che la legge dovrebbe dare”.

Ecco perché uno ‘ndranghetista può dire Lo stato qua sono io. Un riferimento alla stringente attualità, ovvero all’operazione “Mandamento” della Dda e all’intercettazione in cui Rocco Morabito, figlio del boss Peppe Tiradritto, rassicura un affiliato.

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Lotta alla ‘ndrangheta: cosa può fare il semplice cittadino?

La lotta alla ‘ndrangheta però non è una esclusiva delle procure antimafia, delle associazioni, delle istituzioni e degli imprenditori. I cittadini, tutti, hanno un ruolo. E strumenti, modalità e modi di vita per perseguire un obbiettivo: togliere potere economico ai clan.

Acquisto responsabile, ad esempio, come ha ricordato don Marcello Cozzi. Sapere da chi si compra, informarsi su chi e cosa c’è dietro ad un’attività commerciale. L’esempio lampante riportato alla platea: le pescherie notoriamente e storicamente controllate sul territorio dal clan Muto.

A tal proposito don Ennio Stamile ha rievocato la felice intuizione investigativa di Giovanni Falcone di aggressione del patrimonio economico della mafia. Ma anche il sociale – ha detto – ha la sua possibilità di lotta. Dicendo no, ad esempio, “a comparaggi, commistioni, connivenze e persino logiche matrimoniali con gli ‘ndranghetisti”.

“E questo deve avvenire anche qui – ha detto –, in questo territorio di Frontiera che per 40 anni e oltre ha sempre saputo e troppo spesso taciuto. Qui vorremmo nascesse un presidio di Libera con chi si impegna per quest’area. Un presidio senza confini territoriali sullo stesso modello proposto dalla ‘ndrangheta”.

Ma le inchieste della Dda sul Tirreno cosentino non hanno svelato alcun segreto. Lo ha detto il sindaco di Santa Maria del Cedro, Ugo Vetere.

“Io – ha aggiunto – mi sono ritrovato di recente a denunciare fatti che trent’anni prima denunciava mio padre. Quello che da decenni avviene sul territorio ha delle chiare responsabilità delle rappresentanze politiche espresse e della procura. Ora – ha aggiunto – L’arrivo di Nicola Gratteri a Catanzaro e di Pierpaolo Bruni a Paola può porre uno stop a questo immobilismo. Noi amministratori non siamo né eroi né martiri, ma non possiamo scansarci quando arriva il momento di dare il nostro contributo. Certo è difficile contrastare la ‘ndrangheta con gli organici striminziti delle forze dell’ordine dislocate sul territorio”.

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*Rosario Livatino

About Andrea Polizzo

Giornalista professionista dal 2010 e blogger. Sin dal 2005 matura esperienze con testate regionali di carta stampata, on-line e televisive. Attualmente collabora con il mensile d'inchiesta ambientale Terre di Frontiera e con il network VicenzaPiù. Ideatore di blogtortora.it, caporedattore e coordinatore di www.infopinione.it.

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