La suprema corte ha quasi in toto confermato la sentenza in Appello per gli imputati giudicati con rito abbreviato.
La Corte di Cassazione si è pronunciata nell’ambito del processo Frontiera al Clan Muto di Cetraro per gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato.
La prima sezione penale ha confermato quasi interamente la sentenza emessa a loro carico dalla Corte di Appello di Catanzaro, ma ha ritenuto che la cosca di Cetraro non sia un’associazione armata. A carico di alcuni imputati ha infatti ritenuto dover escludere questa aggravante.
Inoltre, alcuni reati devono essere riqualificati, motivo per il quale seguirà un nuovo grado di giudizio in Appello. Quest’ultima decisione riguarda, tra gli altri, Mara Muto e Andrea Orsino, figlia e genero del boss Franco Muto: nella gestione dell’Eurofish di Cetraro si profilerebbe solo la violazione degli obblighi di custodia.
Infine, le pene per le condanne di altri componenti del clan dovranno essere rideterminate.
Ecco quanto disposto dalla Corte di Cassazione.
Frontiera è il nome dato all’operazione dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza su ordinanza della Dda di Catanzaro.
Nel rito abbreviato, oggi giunto a giudizio defintiivo in Cassazione, il Gup di Catanzaro aveva inflitto condanne e deciso per assoluzioni, come riportato in un nostro articolo.
Nel 2020 la Corte di Appello di Catanzaro aveva attenuato le condanne per alcuni imputati, confermando le decisioni precedenti per la gran parte di essi.
Gli imputati appellanti sono stati condannati anche al pagamento delle spese di costituzione in giudizio sostenute dalle parti civili, tra le quali figurano molti enti della pubblica amministrazione.
A giugno del 2018, il Gup di Catanzaro aveva inoltre disposto risarcimenti per una somma complessiva di 310mila euro in favore di Regione Calabria (50 mila euro), Provincia di Cosenza (50 mila euro) e per i comuni di Cetraro (90 mila euro), Scalea (60 mila euro) e Praia a Mare (60 mila euro).
Una decisione, quest’ultima, ripresa a luglio 2019 anche dal tribunale di Paola, nella sentenza di primo grado relativa agli imputati processati con rito ordinario, nello stabilire i danni subiti dagli enti della pubblica amministrazione locale.
Nel rito ordinario, come riportato in un nostro articolo, il boss Franco Muto dell’omonimo clan di Cetraro è stato condannato a 20 anni di carcere per il reato di associazione mafiosa, capo di imputazione per il quale era stato invece assolto in primo grado, nel 2019, proprio dal tribunale di Paola.
In appello a quella sentenza, inoltre, il boss cetrarese è stato assolto dal reato di intestazione fittizia di beni, ma la corte ha disposto la libertà vigilata per tre anni e la confisca dei beni e dei rapporti finanziari a lui riconducibili.
Tra le altre decisioni, si sono registrate le condanne per Antonio Mandaliti a 14 anni di reclusione e per Luigino Valente a 22 anni, 10 mesi e 10 giorni di reclusione. Come nel primo grado, sono stati assolti l’imprenditore Giorgio Ottavio Barbieri e e il suo braccio destro Massimo Longo.
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